È vero che gli stranieri in Giappone sono considerati sporchi?


Prima di tutto vorrei specificare che non ho mai sentito un giapponese esprimersi in questi termini. Possono avere pensato che gli europei sono sporchi, ma non mi è mai stato detto. Quelle che seguono quindi sono mie opinioni, quello che penso i giapponesi pensino, non fatti.

Per un giapponese probabilmente è sporco il fatto che non ci facciamo il bagno tutti i giorni. Per loro è impensabile. Il bagno è un rituale, forse il momento più bello della giornata. In Giappone è sporco portare le scarpe in casa. Nessuno lo farebbe. I giapponesi, perlomeno quelli della mia età, 70 anni, trovano inconcepibile defecare e fare il bagno nello stesso luogo fisico. Il gabinetto ed il bagno sono locali separati. Per mia moglie è sporco mettere un rotolo di carta igienica nuovo di pacca sul tavolo di cucina. Le cose vecchie son sporche, quindi gli anziani, almeno, non andrebbero mai da un robivecchi. Mia moglie e quelle dei miei amici si rifiutano persino di entrarvi.

I giapponesi sono famosi per essere amanti dell’igiene e chi è stato in oriente sa che nulla di paragonabile al Sol Levante esiste nel resto dell’Asia. Gli abiti si portano una volta sola. È ben vero che con questo clima è bene farselo, ma ci sono città italiane con climi simili, eppure non vi vedo tanta solerzia. Tutte le donne fanno il bucato tutte le mattine: siamo una famiglia di tre persone e la lavatrice corre tutte le mattine. La lavatrice una volta si teneva fuori casa perché considerata essa stessa sporca.

Dopo gli attacchi terroristici al gas nervino degli anni 90, dal Giappone sono scomparsi i cestini dell’immondizia. Si vedono cartacce e rifiuti per terra? No. I tifosi del calcio giapponese puliscono lo stadio prima di andarsene, anche in caso di partite internazionali che perdono. Vediamo la mia cucina. Su di una mensola ci sono il contenitore arancione del liquido lavapiatti, quello verde del sapone liquido per le mani, mentre il terzo è una confezione di alcol disinfettante, fatto specificamente per la cucina e di comune uso. Questa pulizia fa parte di un panorama generale di estrema attenzione all’ordine, la precisione, la pulizia, la correttezza.

Tutte queste cose hanno origine da un singolo concetto, causa di innumerevoli problemi sociali ed origine di molti dei tratti migliori di questa cultura, un concetto così importante che penso sia bene spiegarlo all’inizio, una volta per tutte, in modo che possa fare da sfondo a tutti i miei post. Il concetto in questione è quello di contaminazione, in giapponese kegare.

Un breve racconto di dare un’idea chiara della sua natura. Mia moglie fino a qualche anno fa disegnava calzini per un’azienda che si chiamava Renown. Essa poi fallí ma i suoi prodotti, di ottima qualità, vennero venduti fino a esaurimento dello stock. Un giorno la mia metà entrò in un negozio di lusso e sentire una conversazione fra un uomo e una donna:

-Guarda che belli questi calzini. E costano poco.

-È vero. Sono della Renown. Ehi, ma la Renown non è quella ditta che era fallita? Lascia perdere.

-Hai ragione! Meglio lasciar perdere. Sono pieni di kegare. (Risparmiatevi le battute. Lo so anch’io a che parola assomiglia)

in altri termini, il fatto che l’azienda che li aveva prodotti fosse fallita contaminava i calzini al punto da poter trasmettere la sfortuna della Renown ai loro acquirenti.

Esso è un’energia negativa e funesta emanata da certi oggetti o eventi, per certi versi simile alla iettatura. Ottimi esempi sono il contatto con la morte, col sangue (e quindi le mestruazioni), le malattie infettive e la sporcizia. A causa del kegare è possibile trovarsi in uno stato equivalente a quello di peccato senza avere alcuna colpa. Se si rimane coinvolti in un incidente automobilistico e si è coperti dal sangue di un altro, che magari poi è morto, ma si è indenni, si è ugualmente carichi di kegare. Funziona insomma in modo simile alla radioattività. Il kegare è trasmissibile da persona a persona, attraverso gli abiti, il contatto diretto, le azioni o perfino nessuno di questi.

Due idee ad esso legate sono lo tsumi 罪 e l’oharae お祓 え. Lo tsumi è superficialmente simile al peccato cristiano, e di fatto lo include come caso particolare, ma in ultima analisi è tutt’altra cosa perché non implica necessariamente responsabilità morale. Avere rapporti sessuali con una donna mestruante, ad esempio, è uno tsumi che genera kegare. La fonte più comune di kegare al giorno d’oggi è probabilmente un funerale. I funerali sono così carichi di kegare che ogni gesto, ogni utensile utilizzato nel corso della cerimonia non è utilizzabile in qualsiasi altra circostanza. Chi partecipa deve poi purificarsi con sale.

​Lo oharae è il nome della cerimonia con cui il kegare viene lavato via. Ne esistono di diversi tipi e il più delle volte la soluzione è qualcosa di semplice, ad esempio fare un’offerta. Di qui la passione giapponese per le cose bianche e nuove. Di qui il disprezzo per tutto quello che è vecchio. Una cosa antica è una cosa da buttare e un mio conoscente che, pur essendo giapponese, fa l’antiquario mi assicura che molti dei suoi clienti sono stranieri e che gli eventuali accompagnatori giapponesi preferiscono spesso rimanere fuori dalla porta mentre l’amico foresto fa compere. L’usato respinge molti.

Tutti abbiamo sentito storie di ciliegie in vendita a 200 euro l’una. Queste storie, anche se non esattamente all’ordine del giorno, sono nondimeno vere. La ragione per cui esistono giapponesi disposti a pagare certe cifre è che sono primizie. Una fragola in febbraio annuncia la bella stagione, parla di vita, di resurrezione, di primavera. Il contrario del kegare.

Storicamente, il kegare ha avuto effetti calamitosi ed è direttamente responsabile di tre problemi sociali diversi.

I burakumin

Il primo è quello dei cosiddetti burakumin, i fuoricasta giapponesi. Si trattava inizialmente di persone adibite alla rimozione di corpi durante una epidemia a Kyoto. La loro presenza si consolidò con gli anni. Finirono con l’essere addetti alla macellatura e alla conceria delle pelli.  I macellai erano contaminati dal loro lavoro al di là di ogni possibile emancipazione. Non erano una casta bassa, ma dei fuoricasta. Avevano una società loro, separata da quella normale. Per questo erano chiamati Eta (穢多), tanto kegare.  Paradossalmente, il monopolio della produzione del cuoio li rese ricchi, ma questo non cambiò nulla. Lafcadio Hearn, il migliore ma quasi dimenticato osservatore del Giappone, descrive un loro villaggio. Lindo, ordinato, in tutto e per tutto come gli altri.

Lungi da essere un retaggio del passato, il kegare è un concetto essenziale per interpretare correttamente il Giappone.Un oggetto trovato viene di rado raccolto, anche se costoso, perché possibile fonte di kegare.

Condizione della donna

il secondo problema causato dal concetto di contaminazione non è esclusivo del Giappone ma è conosciuto anche da noi. La condizione della donna deriva in parte dal fatto che mestrua. In molte culture il nesso fra mestruazioni, parto, e sesso non è chiaro, quello che è chiaro invece è che la donna ogni mese perde sangue direttamente dall’interno del suo corpo. Questo non sembra farle male, ma è ugualmente una forma chiara di kegare.

Anni fa stavo cenando con alcune amiche (tutti i miei amici giapponesi sono di sesso femminile) quando ho sentito una di loro parlare con un’altra, dicendo che suo marito le aveva detto che “le donne sono sporche”. Io ho capito immediatamente che non stava parlando di sporcizia fisica. In quel senso, non c’è dubbio, se qualcuno è sporco sono i maschi.

Parlava della contaminazione profonda dovuta alle mestruazioni. Lei, più che comprensibilmente offesa, gli ha subito risposto che questo poteva anche essere vero, ma che ugualmente anche lui era nato di donna. Il problema femminile quindi è più grave che altrove. Qualche anno fa durante un incontro di sumo un arbitro si era sentito male. Una donna, unico medico presente, è salita sul ring, cosa assolutamente proibita proprio a causa di questo kegare. L’impianto voci le ha immediatamente intimato di uscire… La cosa è meno significativa di quello che sembra, perché l’ambiente del sumo è uno dei più conservatori del Giappone, inoltre la cosa ha fatto un enorme scandalo. Non è possibile però negare che la questione esista.

Spreco

Il terzo problema è lo spreco. Chi conosce i giapponesi sa quanto siano parchi, frugali e semplici nelle loro abitudini. Per esempio, non credo di avere mai visto un giapponese lasciare qualcosa sul piatto. Si mangia tutto. Le agende che mia moglie gettano dopo anni di uso, quando lo spazio finisce, sono come nuove. Questo vale per tutte le giapponesi che conosco. Come spiegare allora la loro tendenza indubbia a gettar via cose nuove? Col fatto che nessuno le vorrebbe. Come mai la mania per le primizie? Perché una persona è disposta a pagare 200 € per una ciliegia? Perché sono nuove e quindi “pure”. Tutte queste domande hanno la loro risposta nel kegare.

Un’ultima storia, poi stacco. Una mia conoscente ha purificato il suo appartamento prima di lasciarlo, per essere certa di non lasciare alcuna traccia di kegare ai nuovi inquilini.

Il kegare, poi, insieme alla paura delle anime dei morti contribuisce a una situazione di continua paranoia caratteristica di questo paese.


3 risposte a “È vero che gli stranieri in Giappone sono considerati sporchi?”

  1. Assurdo per noi tutto questo. Ma mi si crede se da bambina e giovane un sacco di credenze di questo Kegare mi appartenevano, e qualcuna ancora oggi , anche se e per fortuna o no , non so, la vita spesso mi abbia portato per diverse necessità ad abbandonare certe mie reticenze e quindi a cambiare pure le mie piccole come dire quelle che sono un po’ considerate “manie” nella nostra Cultura .
    Tra l’altro non credo che sia nemmeno una mia peculiarità ma soprattutto nei bambini questo fatto quanto meno del nuovo anche per fare un esempio di mangiare solo metà biscotto per lasciarlo e prenderne un’altro nuovo sua un qualcosa di comune. O considerare subito tutto vecchio e sporco.

    • Non è però del tutto alieno alla nostra mentalità. Ho scoperto con grande sorpresa
      Che moltissima gente da ridire se metti calzini calzini nuovi, bada bene, dico nuovi, insieme al cibo.

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