Il paese dove le cose parlano, parte quarta


La parola animismo fa molto Africa, ma in realtà c’è anche da noi e tutte le religioni abramitiche si basano su di esso. Il concetto di anima (animismo?), quello di vita dopo la morte, l’inferno giù, il paradiso su, il peccato originale sono tutti concetti comuni all’animismo di tutto il mondo.

Pietro De Colle dice che la mia definizione di animismo è errata e che le religioni come il cristianesimo ritengono che solo gli esseri umani abbiano l’anima. Questo non è vero, perché secondo il cristianesimo anche i morti la hanno, ed i morti non sono esseri umani. Questo è un fatto che avrebbe ripercussioni pratiche negative notevoli se non fosse per l’invenzione del paradiso e dell’inferno, due luoghi da ccui non si torna. I morti quindi sono vivi ma altrove, ed il culto degli antenati, il problema più grave creato dall’animismo, non è necessario.

Confronta questo col Giappone dove una signora nata cristiana mi ha detto di aver lasciato il cristianesimo perché non voleva andare in paradiso, ma rimanere con la sua famiglia.

L’ostia che diviene il corpo di Cristo—e mi ricordo il catechismo che enfatizzava che NON era una metafora—non può essere che animismo.

Per quel che riguarda poi l’animismo come religione, direi che ne è un precursore necessario, ma non di più.

Marie Kondo, famosissima anche in Italia, dice di non mettere i calzini l’uno sopra l’altro. “Piacerebbe a voi essere in fondo ad un cassetto, al buio e col peso dei vostri fratelli sopra di voi che vi opprime?”.

Di queste piacevolezze ce ne sono due per pagina. Se non è animismo, cosa è? E di sicuro non è religione. La principale “religione” giapponese, lo Shinto, non ha né una morale né un aldilà bene definito. Uno potrebbe domandarsi in che senso è una religione. Lo stesso vale per molte altre “religioni” animiste.

Quando ero ragazzo mia nonna mi dava un santino da mettere in tasca, più mille lire perché lo accettassi. E io le dicevo: “Che valore può avere se lo accetto per i soldi? E poi lo sai che sono ateo.” Lei mi rispondeva che il santino avrebbe funzionato ugualmente. Il suo modo di pensare era animistico, presupponeva l’esistenza della magia e degli spiriti, ed in ultima analisi era simile a quello dei preti (Kannushi) Shinto che vendono amuleti.

Nel mio paese natale vicino a Venezia il santo da visitare è S. Vito, di cui si dice “S. Vio (pronuncia veneta), il miglior santo che ci ha dato Dio.”
Nessuno in zona vi saprebbe dire chi fosse costui in vita sua e molti sarebbero sorpresi dal fatto che era siciliano. Niente di strano, perché S. Vito come San Gennaro è una forza inumana e senza nome, cui è stato appiccato un nome per renderla più accessibile e digeribile.

I kami più cari ai giapponesi sono estremamente simili, solo che non hanno neppure un nome o un numero.

Quello che vedete, rosso sulla destra in alto, è la loro dimora, il kamidana, una consueudine che sta sparendo ma che è ancora sentita. La stanza sembra una cucina ma è la cambusa di una nave.

A differenza dei kami antropomorfi, nati dal contatto con il buddismo, che a sua volta aveva preso la figura umana dai macedoni di Alessandro Magno rimasti a Gandhara, Pakistan, questi sono kami senza sesso, senza nome e non parlano. Sono forze, come sono forze i kami che vengono placati durante una cerimonia che si chiama jichinsai, fatta nel luogo dove dovrà venire costruito un edificio. Si manifestano facendoti avere fortuna o sfortuna. Non sono esseri, ma energie, ed è con la parola energi (dal tedesco energie, pronunciata energhi) che i definiscono la fortuna o sfortuna.

Anche voi da bambini o anche da adulti avrete avuto l’impressione che una certa azione qualsiasi, ad esempio il fare colazione partendo dai biscotti quadrati invece che da quelli tondi, facesse sì che la prof vi interrogasse. I violinisti che fanno di tutto per assomigliare a Paganini sotto sotto ci sperano che la magia funzioni…

Spesso tutto questo viene considerato animismo ma in realtà ha un altro nome, animatismo, ed è importante distinguerlo perché di estrema importanza in tutte le fasi dello sviluppo della cultura giapponese, secondo me più dell’animismo vero e proprio.

Le nuove generazioni usano Twitter per comunicare e raccontarsi la locazione del più recente power spot scoperto, per poi convergerci ed incontrarsi. Il power spot (pawaa supotto in Giapponese) è quello che il nome sembra suggerire, un punto da cui scaturisce energia spirituale. Il centro commerciale di Ginza è un famoso power spot.

L’ambiente attorno a noi è saturo, dicono, di queste energie ed è essenziale comprenderne la natura e dominarle.
Di qui il feng shui.

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