I nomi, le bambole, gli specchi


Una cultura differente quanto quella giapponese non può essere conosciuta se non poco a poco. Una delle cose che sto scoprendo in questi giorni, ma che ho in testa da molto tempo, è il rapporto che c’è in Giappone fra un’immagine e quello che rappresenta, un rapporto che non capisco ancora bene. In Europa le due cose sono ben distinte, salvo in alcuni casi particolari. In Giappone non è così. Un’immagine ha qualcosa dell’originale, e questo vale soprattutto per gli esseri umani. L’immagine di un essere umano ha qualcosa di sacro. Anzi, molti la trattano come se fosse parte integrante dell’originale. Vale la pena di ricordare che in certe culture è l’ombra di un essere umano ad avere qualcosa dell’originale. È proibito calpestarla. Esaminando tutti i casi di cui ho conoscenza, alla fine mi sono reso conto che che l’adorazione della figura umana viene fatta prevalentemente in tre forme.

Gli specchi

Perché gli specchi? Per saperlo basta ricordarsi di quello che diceva Jorge Luis Borges. Siano maledetti gli specchi e il sesso, perché moltiplicano gli esseri umani.

Gli specchi riflettono la nostra immagine, che a sua volta è ritenuta parte integrante di chi siamo. Chi possiede una nostra immagine possiede parte di noi e può colpirci e controllarci attraverso di essa. Gli specchi sono quindi oggetti maledetti.

Lo specchio è un oggetto affascinante che in estremo oriente era tradizionalmente tenuto di solito rivolto in giù, per proteggerne la superficie ma anche perché non ne uscissero mostri e altre abominazioni. Queste caratteristiche rendono gli specchi stessi tanto sacri che uno dei tre oggetti di potere necessari perché l’imperatore possa esercitare la sua autorità religiosa è uno specchio, lo Yata no Kagami.

Specchio che è anche uno degli oggetti più comuni tra quelli usati per ospitare un kami in un santuario. Mi spiego. Uno spirito non ha corpo, quindi è impossibile dedicargli devozioni perché non si sa dove trovarlo. Per questo gli viene dato qualcosa in cui localizzarsi. Se qualcosa effettivamente custodisce uno spirito, questo qualcosa si chiama shintai, “il corpo di un kami”. Un oggetto che di sua natura attrae gli spiriti, e quindi adatto ad essere uno shintai, sì chiama yorishiro, o “sostituto di uno spirito”. Parole da non dimenticare, perché sono tra le più importanti per capire questo paese. Gli specchi sono yorishiro tradizionali e comunissimi nei santuari Shintō. Lavenerazione degli specchi è retaggio di tutti i paesi dell’orbita culturale cinese.

I nomi

I nomi delle cose hanno importanza? C’è chi dice di sì. Ormai in Europa nessuno ci fa caso, ma un tempo anche da noi c’era una lunga tradizione che legava il nome all’essenza di una persona. Sappiamo per esempio che un’antica città aveva un “nome vero” segreto ed un altro, quello di uso comune: Roma è il nome comune. Il nome vero e segreto della nostra capitale è andato perduto.

Per tutta la storia scritta del Giappone, cioè dal 553 d.C. circa fino al 1868, una persona (Inizialmente solo nobili, più tardi il diritto al cognome fu esteso a tutti.)ha avuto un minimo di due nomi. Uno era il cosiddetto nome vero, o imina (諱), che non andava mai pronunciato per alcun motivo. la grafia originale non era questa ma 忌み名. Solitamente il primo carattere sta per contaminazione, per cui la parola si risolve“ parola contaminata, ma in questo caso il termine significa piuttosto “nascosto“, per cui la frase vuol dire nome nascosto,.Appunto.

Per chiamare una persona se ne usava un altro la cui composizione dipendeva dall’era, dalla classe sociale e da altri elementi, ma la cui funzione era sempre di nascondere il vero nome. Nell’era Heian i guerrieri avevano un rapporto di quasi schiavitù con chi li assumeva e quindi davano una lista dei veri nomi di tutti i componenti di un gruppo di soldati al loro padrone, a riprova della loro fedeltà.

Era di capitale importanza tenerli nascosti il più possibile per evitare appunto che malintenzionati li venissero a conoscere. Per questo ad esempio Ashikaga Takauji si faceva chiamare Gosho, Onorevole Luogo. Tokugawa Ieyasu, volendo essere qualcosa di più, si faceva chiamare Ogosho, Onorevole Onorevole luogo. La lingua parlata della famiglia imperiale in passato si chiama Goshokotoba, la lingua dell’onorevole luogo. Chiamare l’imperatore per nome in Giappone è ancora evitato. Murasaki Shikibu e Sei Shonagon, le scrittrici che ci hanno dato il Genji Monogatari e il Libro da Cuscino, essendo donne e non avendo doveri formali da espletare, riuscirono a tenere nascosto il loro a. Quelli con cui sono conosciute sono titoli nobiliari. Questo costume durò per tutta la storia scritta del paese, quindi quasi 1500 anni, finché ne venne ufficialmente abolito l’uso nel 1868. In quell’epoca esso aveva infatti un’esistenza legale riconosciuta e norme di uso sancite per legge.

Questa importanza dei nomi affiora anche nella splendida animazione di Miyazaki Hayao, la città incantata.

Chihiro è la bambina protagonista del film. Il suo nome si scrive con due caratteri, 千尋. Il primo vuol dire mille e si legge chi oppure (quando non fa parte di composti) sen. Il secondo, hiro, è una vecchia unità di misura equivalente a un palmo. All’inizio del film, Chihiro incontra Yubaba, proprietaria dello stabilimento balneare. Chihiro cerca lavoro, ma la vecchia strega non ha alcuna intenzione di assumere una ragazzina, men che meno una vivente in una città di spiriti. Alla fine si lascia convincere, ma le toglie il secondo carattere dal nome, che si stacca dal contratto e le vola in mano. Yubaba lo mette in tasca. Il chi di Chihiro, ora da solo sul contratto, si legge di conseguenza Sen. E infatti Yubaba annuncia alla ragazzina che ora il suo nome è Sen.

Appropriandosi di parte del nome di Chihiro, Yubaba si impadronisce anche della sua anima, cosa che ha fatto del resto con il protagonista maschile del film, Haku. Haku le dice di non dimenticare mai la seconda parte del suo nome, perché in tal caso la sua anima sarà prigioniera di Yubaba. Lui stesso ha dimenticato il proprio e non può fuggire. Ci riuscirà alla fine del film, quando Chihiro glie lo ricorderà.

La figura umana

Questa è la rappresentazione più diretta dell’essere umano, quella che ha più significati ed è più usata e protetta. Basti pensare alle bambole, le fotografie, i dipinti.

Alle bambole si fanno i funerali, altrimenti si coprono loro gli occhi prima di buttarle via. CI sono cerimonie funebri anche per fotografie, radiografie, MRI, ecc. Si fanno i funerali ai pennelli con cui si disegnano esseri umani, fumetti per esempio. A Kamakura, dove vivo, tutte queste forme di funerale per oggetti sono eseguite tutto l’anno, spesso con gran fanfara, come nel caso del funerale delle bambole a Hongakuji.

Si usa la figura umana anche per riti di purificazione. Si fa uso per questo di una figuretta in carta detta hitogata, ma c’è anche quella di un’automobile (kurumagata). ci scrivi sopra il tuo nome (nota bene: il tuo nome), ci aliti sopra, te la passi sul collo, la bruci e i tuoi peccati sono storia.

Le bambole vengono usate in un grande numero di cerimonie e festival. C’è persino il festival delle bambole, hina matsuri, molto importante perché le bambole rappresentano l’imperatore.

Per concludere questo breve post, fatto per schiarirmi le idee, una menzione di Inari, senza dubbio il più popolare fra i kami antropomorfi. Ma è poi antropomorfo? Le sue rappresentazioni sono molto rare.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *