Le follie degli ee janaika


Nel post precedente abbiamo visto che il periodo finale dello shogunato dei Tokugawa fosse caotico e come la fine dello Shogunato fosse nell’aria. Le navi di Perry erano arrivate al momento giusto per dare un calcio finale alla alla situazione.

Uno dei movimenti più strani, e il termine è eufemistico, del periodo fu quello dei cosiddetti “ee janai ka,” episodi di follia collettiva a carattere spesso politico e/o religioso appena velato e impossibili da prevenire da parte del governo a causa della loro natura spontanea. Il nome del fenomeno significa più o meno: “Ma sì che possiamo, ma si che si può…” e lo dimostra essere una chiara reazione al radicale proibizionismo dello Shogunato.

Dopo il trauma del periodo degli stati combattenti, una guerra civile durata più di un secolo e mezzo, il popolo si era dimostrato disposto a qualsiasi cosa per l’amor di stabilità, tanto da accettare di buon grado le imposizioni del fondatore Tokugawa Ieyasu. La necessità di un governo dal polso fermo dopo un periodo così lungo di violenza era evidente a tutti. I giapponesi furono ricompensati della loro disciplina con un triplicarsi della popolazione in solo qualche generazione.

La cosa che sorprende delle leggi imposte da Ieyasu era la loro capillarità. Esse ad esempio prescrivevano dettagli specifici sugli abiti che ogni classe sociale poteva indossare, incluse le dimensioni, i colori e i tipi di stoffa. Solo lo shogun poteva indossare abiti di certi colori, come il rosso brillante.

C’era un divieto per gli uomini di avere barbe e capelli lunghi. Questo era in parte un tentativo di sopprimere le influenze esterne, poiché l’aspetto occidentale, incluso il modo in cui gli uomini occidentali portavano la barba, stava diventando popolare in Giappone.

Solo i samurai avevano il diritto di portare due spade. Questa regola rafforzava la distinzione tra i samurai e le altre classi e sottolineava il loro status privilegiato.

Si potrebbe pensare che le classi superiori fossero esenti da simili limiti, ma questo non è il caso. I samurai, ad esempio, non potevano partecipare alle rappresentazioni di teatro kabuki. Inizialmente, questo era molto libero e spesso associato a intrattenimenti licenziosi. Col tempo, le autorità Tokugawa stabilirono regole per rendere il kabuki più rispettabile. Ad esempio, fu proibito alle donne di esibirsi, portando alla tradizione degli attori maschili “onnagata” che interpretavano ruoli femminili.

Queste sono alcune delle proibizioni. Vi risparmio gli obblighi.

L’estrema severità del governo e della sua amministrazione sono il solo modo di spiegare un fenomeno anomalo, particolarmente in questo paese, come quello degli ee janai ka, centinaia di persone che ballano per ore e anche giorni, continuando a ripetere lo slogan “ee janai ka” mentre portano costumi più che stravaganti. Non ne ho le prove naturalmente, ma mi piace pensare che questo fosse un modo per scaricare la tensione, per tornare ad essere persone libere di pensare quello che volevano. Ieyasu, intelligente com’era, avrebbe sicuramente apprezzato la loro iniziativa.

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