Come si contano i kami in giapponese?


“Un kami, è qualsiasi cosa o fenomeno al di fuori dell’ordinario, che possiede un potere superiore o che incute timore”.

Motoori Norinaga – 本居 宣長 (1730-1801), Kojiki-den (古事記伝, commentario sul Kojiki)

Fonte: bushō-japan

Parlando di kami si sente spesso usare l’espressione yaoyorozu no kami (八百万の神, lett. otto milioni di divinità). Questo termine è legato alla tradizione shintoista giapponese e sebbene letteralmente significhi “otto milioni di divinità”, non sta ad indicare una cifra esatta ma viene semplicemente utilizzato per esprimere l’idea dell’esistenza di “innumerevoli” divinità, siano queste di indole mite o malvagia e tutte dotate di una propria personalità. I giapponesi credono che esista un numero infinito di kami, alcuni in grado di controllare i fenomeni atmosferici e altri più strettamente legati alla vita delle persone.

Ma come si contano in kami in giapponese.

Nella lingua giapponese non esiste una distinzione tra maschile e femminile come non esiste nemmeno tra singolare e plurale. In italiano per indicare la quantità desiderata ci si limita ad usare il numerale corrispondente. In giapponese invece si ricorre ai josūshi (助数詞) conosciuti come classificatori o contatori. Sono delle particelle che, associate ad un sostantivo, ne indicano il numero, cioè “quante” cose ci sono e, a seconda della natura del sostantivo che lo precede, il parlante dovrà scegliere quello adatto. La scelta del classificatore corretto é legata il più delle volte alla caratteristiche fisiche dell’oggetto che desideriamo contare. Per esempio se stiamo parlando di persone useremo il classificatore “人” mentre per contare un elettrodomestico o le macchine useremo il classificatore “台” e così via. I classificatori più comuni vanno imparati a memoria; mentre per padroneggiare l’uso di quelli più particolari ci vorrà più tempo ed esperienze. A seconda dei casi i classificatori possono anche subire delle modifiche fonetiche.

La lingua giapponese ha un modo specifico anche per contare sia le divinità appartenenti alla tradizione shintoista che quelle appartenenti alla dottrina buddista (che vi racconterò in un altro articolo).

Per contare i kami della tradizione shintoista si usa il contatore hashira (柱) nella sua lettura kun-yomi, la lettura semantica giapponese del kanji.

Si leggerà quindi:

Hito-hashira (一柱), un kami

Futa-hashira (二柱), due kami

Mi-hashira (三柱), tre kami

E così via…


Origini del josūshi hashira.

La nascita di questo contatore deriva dal concetto shintoista dello shintai (神体, lett. Corpo del kami) che rappresenterebbe la manifestazione materiale di un kami, ovvero l’oggetto in cui quest’ultimo vi alberga. Possono essere oggetto come spade, specchi oppure manifestazioni della natura come le montagne (il monte Fuji è considerato un shintai-zan (神体山, montagna sacra) le cascate e nel nostro caso si tratta di un albero.

Fin dall’antichità, i giapponesi hanno sentito la presenza dei kami nella natura. In Giappone, la natura ha da sempre portato abbondanti benedizioni al popolo, che ne era grato e percepiva queste benedizioni come opera dei kami. In origine, il santuario o la divinità principale di un santuario shintoista era la natura stessa. Per il Giappone, paese circondato su tutti i lati dal mare e frastagliato da numerose catene montuose, le foreste sono sempre state percepite come il luogo in cui dimoravano le divinità.

Ancora oggi, la maggior parte dei santuari ha nelle sue immediate vicinanze le cosiddette chinju mori (鎮守森) o foreste sacre, verdi e profonde, che vengono gestite e protette con cura. Gli alberi hanno una propria vita e una propria anima e lo shintoismo ha una cultura religiosa che valorizza gli alberi. Quindi gli alberi, come le pietre e le montagne, sono stati a lungo oggetto di profonda devozione in Giappone. In origine non esistevano santuari o templi, ma un albero, una foresta, un grande masso o una montagna erano il fulcro del culto. Ancora oggi capita spesso di vedere in Giappone alberi, rocce ed altri oggetti circondati da una shimenawa (注連縄, letteralmente “corda di chiusura”), una corda di paglia o canapa intrecciate utilizzate per riti di purificazione shintoisti o usate per delimitare lo spazio appartenente a quello che in giapponese sono conosciuti come yorishiro (依り代, 依代) che per l’animismo giapponese sono degli oggetti che possiedono la capacità di attirare i kami fornendo loro uno spazio fisico da occupare durante i vari matsuri che si svolgono in tutto il paese.

Come detto in precedenza quando un kami dimora in un oggetto questo viene definito uno shintai. Le shimenawa decorate con gli shide (紙垂, 四手) spesso circondano uno yorishiro per manifestare la sua sacralità. Gli shide sono festoni di carta a forma di zig zag che si possono trovare anche come ornamenti sulle porte dei santuari o sui kamidana all’interno delle case giapponesi. Anche una persona può svolgere lo stesso ruolo di uno yorishiro, e in tal caso sono chiamate yorimashi (憑坐, letteralmente “persona posseduta”) o kamigakari (神懸りletteralmente “possessione del kami”).

Nel Giappone antico si credeva che esistesse una sorta di forza misteriosa della natura detta ke (気) che riempiva lo spazio e gli oggetti, che normalmente in giapponese vengono indicati con il termine generico mono (物). Questa forza misteriosa dava vita al mononoke (物の気) che scorreva all’interno anche di alberi e pietre. Alcune tipologie di alberi, come ad esempio il sakaki (榊), sono considerati sacri per questo motivo. Quando uno di questi alberi veniva abbattuto e trasformato in legno utilizzato per la costruzione di un santuario, si credeva che la sacralità dell’albero venisse trasferita all’edificio stesso. La forza spirituale dell’albero rimaneva sotto forma di pilastro attorno al quale veniva costruito il santuario.

Il daikoku-bashira (大黒柱, pilastro centrale) di un santuario o di una semplice casa era spesso ricavato da uno di questi grandi alberi. Da qui è quindi nata la credenza che i kami risiedessero nei pilastri e l’uso di hashira (柱) come contatore. Non c’è da stupirsi che, a causa di questa cultura che valorizza ciò che la circonda, la gente credesse che la divinità risiedesse nel pilastro principale, ricavato da un albero molto grande, e considerasse la divinità stessa come un pilastro. Nel Giappone antico, la preparazione di un pilastro era una cosa molto importante. Tradizionalmente, l’abbattimento del legname era una cerimonia estremamente importante e solenne, eseguita di notte. La preparazione e il posizionamento del legname erano un rito sacro e potevano essere eseguiti solo dai sacerdoti shintoisti.

La data di posizionamento del pilastro centrale era determinata da un decreto imperiale e coincideva con le cerimonie di apertura del terreno per la costruzione di un santuario. Dall’inizio del periodo Edo, il decreto imperiale per questa cerimonia è stato interrotto. Oggi le cerimonie di posa del pilastro e di rottura del terreno si svolgono in giorni diversi. L’erezione di un pilastro sulla terra è visto come un mezzo di collegamento tra il cielo e la terra e funge da richiamo per lo spirito divino che dimora nel cielo. I pilastri si crede conferiscono stabilità alla struttura e alla terra stessa in quanto abitato dai kami.


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