Il bon nella tradizione shinotista


Dopo la pubblicazione del nostro ultimo articolo sul Bon, ho ricevuto alcuni messaggi privati che mi chiedevano se anche la tradizione shintoista celebrasse questa festività. La domanda è del tutto legittima, poiché, sebbene l’Obon (お盆) sia normalmente associato al buddismo, le sue radici affondano nelle antiche pratiche shintoiste di venerazione degli antenati. Stavo già preparando un approfondimento su questo tema, poiché mi sembrava importante sottolineare come anche nei santuari e nelle famiglie che seguono lo shintoismo si svolgano riti dedicati ai propri antenati durante il periodo dell’Obon.

In passato, era comune che santuari e templi condividessero lo stesso spazio, creando luoghi di culto unici dove si intrecciavano le pratiche shintoiste e buddhiste. I sacerdoti, officiavano riti che riflettevano questa sincresi religiosa, un fenomeno noto come shinbutsu-shūgō.(神仏習合).

Buddismo e shintoismo

Il buddhismo fece il suo ingresso in Giappone nella prima metà del VI secolo, giungendo dalla Cina, dove si era diffuso seguendo le antiche rotte commerciali della via della seta che collegavano l’Asia orientale con l’India. La prima testimonianza scritta di questa introduzione si trova nel Nihon Shoki (日本書紀), letteralmente “Cronache del Giappone”, il secondo libro più antico della storia classica giapponese. Prima dell’arrivo del buddhismo, le credenze religiose erano profondamente radicate nelle comunità locali e legate ai cicli della natura.

La sussistenza dei villaggi giapponesi era strettamente legata alla coltivazione del riso, che rivestiva un ruolo centrale nei riti comunitari. Attraverso questi rituali, la popolazione invocava la benevolenza dei kami (神), divinità shintoiste legate alla natura e al territorio. Si credeva che i kami, se venerati con rispetto, potessero garantire prosperità e protezione, mentre la loro ira poteva scatenare calamità naturali. Il pantheon shintoista era vasto e variegato, includendo divinità legate alla terra, al riso, alle montagne, ai boschi e ad altri elementi naturali.

Shinbutsu-shūgō

L’introduzione del buddhismo in Giappone diede origine al fenomeno noto come shinbutsu-shūgō (神仏習合), ovvero una complessa sincresi tra le divinità shintoiste (kami) e le figure buddhiste. Anziché sostituire le credenze tradizionali, si cercò una coesistenza pacifica tra le due religioni, dando vita a un processo evolutivo articolato in diverse fasi. Inizialmente, Buddha e bodhisattva vennero assimilati al pantheon shintoista, ma questa prima fase di sincretismo non permise una comprensione approfondita della filosofia buddhista e delle sue sottili sfumature.

L’integrazione tra buddhismo e shintoismo si consolidò ulteriormente con la nascita dei jingūji (神宮寺) complessi religiosi che combinavano le caratteristiche di santuari e templi. Questa nuova forma di culto segnò l’inizio della seconda fase del sincretismo religioso. Nei jingūji si svolgevano riti che vedevano la partecipazione sia di Buddha che dei kami, ma con una netta distinzione gerarchica. I kami venivano considerati inferiori ai Buddha, perché non ancora liberi dal rinne-tenshō (輪廻転生), ovvero il ciclo delle rinascite. I monaci buddhisti svolgevano un ruolo attivo in questi culti, recitando preghiere per la liberazione dei kami.

La svolta decisiva nel sincretismo si verificò quando i kami furono considerati come manifestazioni terrene dei Buddha e dei Bodhisattva, incaricati di guidare gli esseri umani verso l’illuminazione. Questa nuova teologia costituì il fondamento della religione giapponese per molti secoli. Grazie a questa ridefinizione, i kami, un tempo percepiti come entità potenzialmente pericolose, assunsero un ruolo più benigno, diventando espressione della compassione buddhista e strumenti per la salvezza.

Bon nella tradizione shintoista

Nonostante la diffusa convinzione che il bon sia una celebrazione di origine buddhista, le sue radici affondano nelle antiche tradizioni giapponesi dedicate al culto degli antenati. Il sistema danka seido (檀家制度, iscrizione delle famiglie a un tempio buddhista), promosso dallo shogunato Edo, ha fortemente influenzato la percezione dell’Obon come pratica esclusivamente buddhista. Tuttavia, anche nelle famiglie che aderiscono allo shintoismo, si mantengono durante il periodo del bon rituali di venerazione degli antenati purificando gli altari e facendo le offerte stagionali.

In Giappone, sin dai tempi antichi, insieme ai riti shintoisti si sono svolte cerimonie per venerare lo spirito degli antenati chiamate sorei-saishi (祖霊祭祀), e le persone conducevano una vita pacifica grazie alla protezione dei kami e degli spiriti ancestrali. I kami, in questa concezione, non erano una forza unica e assoluta, ma piuttosto esseri che si credevano fossero nati dall’ascensione graduale degli antenati con cui si aveva un legame. Il motivo per cui, tra tutti gli eventi annuali, Obon e Capodanno sono considerati le due principali festività risiede nel fatto che entrambi sono occasioni per invitare a casa gli spiriti degli antenati e i kami, cioè coloro che hanno un legame con noi. Le celebrazioni del bon sono dedicate agli antenati, mentre quelle di Capodanno sono dedicate ai kami.

Come spiegato nell’articolo sul bon quest’ultimo si basa sull’urabon-e (盂蘭盆会), un atto di grande pietà filiale di un monaco che, seguendo gli insegnamenti di Buddha, riuscì a liberare sua madre e i suoi antenati dalle sofferenze infernali. Questa storia è alla base della celebrazione dell’Obon, durante la quale si offrono preghiere e cibo agli antenati. Quando il buddhismo fu introdotto in Giappone, queste iniziarono ad essere celebrate in vari templi. Inizialmente incentrate sul culto dei monaci, con il tempo, questa pratica buddista si fuse con l’antica tradizione shintoista dell’inizio dell’autunno, dando origine alla forma attuale della festa del bon.

Decorazioni e preparativi shintoisti per il bon

Le decorazioni e i preparativi per il bon nello shintoismo non sono molto diversi dal buddismo, ma ci sono anche alcune caratteristiche uniche. Per il bon shintoista, si puliscono il soreisha (祖霊舎), un piccolo santuario/altare dedicato agli spiriti degli antenati defunti, venerati come kami, che si trova nelle casi di molti giapponesi ed ha la stessa funzione del butsudan (仏壇) buddista. Si puliscono anche i jingu (神具) gli utensili sacri che si trovano disposti sul soreisha, e si offrono acqua fresca, sakè, sale e riso. Davanti allo all’altare, si prepara lo shōryō-dana (精霊棚), un altare degli spiriti e si offrono cibo sacro e frutta di stagione.

Inoltre, mentre nel buddismo alcune famiglie sono solite invitare un monaco buddista a casa per recitare i sutra, nello shintoismo si invita un sacerdote shintoista a casa per recitare le norito (祝詞), le preghiere shintoiste. Mentre quando si prega davanti al santuario domestico o presso la tomba di famiglia, invece di bruciare l’incenso, si offre un ramo di sakaki (榊), in una cerimonia chiamata tamagushi hōten (玉串奉奠). Anche le pratiche di accendere il fuoco per accogliere (mukaebi) gli spiriti degli antenati e di spegnerlo per congedarli (okuribi) sono praticate sia nel buddismo (ad eccezione del buddismo della terra pura) che nello shintoismo.

Tamagushi hōten

Se avete mai visitato uno santuario shintoista, potreste aver avuto l’opportunità di partecipare a una cerimonia chiamata tamagushihōten.

Un tamagushi è un pezzo di carta attaccato a una foglia di sakaki con una corda di canapa. È un elemento essenziale per i rituali e le festività shintoiste. Nello shintoismo, il tamagushi viene anche usato per rendere omaggio formalmente durante le visite ufficiali.

Si crede spesso, erroneamente, che il tamagushi sia un semplice oggetto votivo, paragonabile al riso, al sakè o ad altre offerte alimentari. In realtà, il tamagushi riveste un significato profondamente spirituale, in quanto viene offerto e venerato con grande reverenza durante le cerimonie. Esso rappresenta un segno di rispetto verso i kami e funge da tramite per le preghiere e i desideri dei fedeli.

L’albero di sakaki è considerato una pianta sacra in cui si crede i kami possono facilmente dimorare.

Il primo bon nella tradizione shintoista

Nello shintoismo, il primo bon dopo la morte di una persona è chiamato aramitama-matsuri (新御霊祭, letteralmente “nuova festa degli spiriti”). Nel buddismo, il primo bon si celebra solitamente trascorsi i 49 giorni dalla morte e quindi spesso coincide con l’anniversario della morte. Nello shintoismo, invece, il primo bon si celebra nel primo anno dopo la morte, anche se non sono ancora trascorsi i 50 giorni. Pertanto, nello shintoismo, il primo bon non coincide mai con l’anniversario della morte. Come nel buddismo, anche nello shintoismo, durante il primo bon si appendono lanterne bianche all’ingresso e alle finestre per guidare gli spiriti degli antenati. Tuttavia, mentre nel buddismo si usano spesso lanterne con il disegno di un fiore di loto, nello shintoismo le lanterne bianche senza decorazioni sono le più comuni.

La tradizione del bon buddhista e shintoista, condividono il comune scopo di venerare e onorare gli antenati. Tuttavia, differiscono in termini di background religioso, pratiche, riti e cerimonie. Il bon buddhista si concentra principalmente sui rituali per pregare per la liberazione degli spiriti degli antenati, mentre quello shintoista pone maggiore enfasi sull’armonia con la natura e sul legame con gli antenati.

La celebrazione del bon nello shintō sottolinea l’importanza del legame con le generazioni passate, esprimendo auspici di salute e prosperità per la famiglia. Inoltre, questa ricorrenza è dedicata al rinnovamento della gratitudine verso l’ambiente naturale e la comunità.

Possiamo concludere che il bon rimane comunque una preziosa occasione per riconfermare i legami con gli antenati e tramandare la cultura tradizionale giapponese.


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